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 Due figure si piegano sotto il peso del fango che incombe su di loro, 
            sottolineando la forza che subiscono e, allo stesso tempo, la forza 
            che impongono alla terra.
 Dagli abiti quotidiani e dai movimenti si intuisce che la loro è 
            una situazione abituale, normale. Pur non essendo completamente coscienti 
            del peso che portano, cercano di estraniarsi compiendo movimenti incompatibili 
            con la loro condizione.
 I pensieri sono gravi, pesanti, compressi all’interno del corpo, 
            la voce fatica ad uscire, la respirazione è affannosa, momenti 
            di apnea evidenziati dalla caduta dall’alto di stantuffi che 
            comprimono l’aria.
 Ogni figura reagisce a suo modo allo stato di costrizione. Le diverse 
            reazioni sono in realtà complementari. Ambedue le figure sono 
            destinate perché, fin dall’inizio e senza esserne consapevoli, 
            hanno ceduto il loro consenso all’oppressione. Non hanno la 
            tensione per poter evolvere o involvere. Questo è il risultato. 
            Invertono i fattori, ma il risultato continua a non cambiare. Il confine 
            si vede, marchia e chiude il cerchio.
 Sanno che adeguarsi non è sufficiente è necessario mantenere 
            una propria personalità, rispettare le proprie pulsioni, non 
            trovano in ogni caso, una libera azione. Si collocano in un lembo, 
            in un istmo, che viene eroso man mano, camminano in un solco scavato 
            dal loro istinto. Non sono adeguate, non trovano scopi, picchiano 
            e ripicchiano afferrano e si stringono, salgono e si incatenano.
 Cercano più volte di concludere fino ad arrivare ad un termine 
            irrevocabile.
 Non trovano, ma tentano e poi riprovano, ma il tentativo di prima 
            è passato, lo riprovano ma non ha più quel senso.
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