| A MOSTAR, A MOSTAR.
 
 Dopo quattro anni di interruzione causata 
            dalla guerra, si è svolto a Mostar, dal 30/08/1996 al 03/09/1996, 
            la 17ª edizione del festival internazionale Pozorita autorske poetike 
            “Dani Teatra Mladih”. Durante il festival si sono tenuti 
            due laboratori ai quali hanno partecipato, oltre alle compagnie ospiti, 
            attori belgi, sloveni, polacchi e bosniaci. Le rappresentazioni si 
            sono svolte all’interno dell’ “Omladinski Centar”, 
            all’ex “Hotel Ruza”, al “Pecina u starom gradu” 
            e in spazi all’aperto. Il programma del festival comprendeva 
            compagnie provenienti da Bosnia (Mostarski Teatar Mladih, Lutkarsko 
            Pozoriste Mostar), Spagna (Les Balcaniques), Austria (Vis Plastika), 
            USA (ASF), Italia (Laminarie).
 La compagnia Laminarie è composta da Febo Del Zozzo, Bruna 
            Gambarelli e Fabiana Terenzi e opera dal 1994. Una parte dell’attività 
            delle Laminarie, oltre alla produzione dei propri spettacoli, è 
            rivolta allo studio e alla ricerca teatrale in campo infantile e adolescenziale.
 
 Il 22.08.96, grazie alla presenza in Italia del regista bosniaco Hamica 
            Nametak, abbiamo saputo che l’organizzazione del festival di 
            Mostar era interessata ad ospitarci con il nostro spettacolo. Le comunicazioni 
            con gli organizzatori sono state molto difficoltose, la linea telefonica 
            è continuamente interrotta, risulta difficile anche l’invio 
            dei fax. Siamo partiti dopo aver svolto le pratiche doganali, sostanzialmente 
            senza sapere dove e come avremmo replicato la rappresentazione, nè 
            in quali condizioni.
 Non sapevamo dell’esistenza di questo festival, nonostante la 
            massiccia presenza di italiani a Mostar Ovest, le notizie sull’attività 
            culturale di questa città in Italia non arrivano. Sia durante 
            le fasi di emergenza, che ora nella fase di ricostruzione della città, 
            la Cooperazione Italiana e l’I.C.S. hanno svolto un ruolo preponderante, 
            se confrontato con l’attività di organizzazioni simili 
            di altri paesi europei. Ci sembra strano, però, che all’efficienza 
            nell’organizzazione degli aiuti umanitari, non corrisponda un 
            passaggio di informazioni su ciò che sta succedendo, non solo 
            culturalmente, a Mostar. Rispetto ai gruppi teatrali provenienti dagli 
            altri paesi, che da più di un anno lavoravano, in collaborazione 
            con gli operatori di Mostar, per realizzare la nuova edizione del 
            festival, noi sembravamo arrivati per caso (si può arrivare 
            per caso a Mostar?). Nessun giornale italiano ha dato notizia di questo 
            festival, anche dopo il nostro ritorno i tentativi per trasmettere 
            informazioni sul festival sono stati vani. Perchè?
 Da quattro anni la guerra continua ad appartenerci solo attraverso 
            immagini e resoconti giornalistici. Abbiamo conosciuto, digerito ed 
            espulso il problema della Ex-Jugoslavia non sapendo effettivamente 
            nulla di ciò che realmente è stata ed è questa 
            guerra. Siamo consapevoli di possedere un surrogato di conoscenza 
            composto da un’ enorme mole di informazioni che, faziose o no, 
            non siamo più in grado di leggere. Conoscere attraverso i fatti 
            e non attraverso la loro riproduzione ci ha dato l’occasione 
            di renderci conto di quanto è profonda la nostra ignoranza.
 Siamo arrivati a Spalato via mare, abbiamo percorso circa cento chilometri 
            di strada costiera in territorio croato, poi, a Ploce, abbiamo cambiato 
            direzione e ci siamo diretti a Metkovic.
 
 A Metkovic ci si lascia alle spalle lo stato croato. Allora perchè, 
            lasciando questo stato, paghi un’ assicurazione di 60 DM timbrata 
            Croazia? Si lascia la Croazia, non si entra in Bosnia Herzegovina, 
            ma in Herzeg-Bosnia, in uno stato nazionalista croato che cerca di 
            affossare gli accordi di Dayton, erodendo alla Bosnia altro territorio, 
            a giudicare dal numero di bandiere appese ovunque sembrano convinti 
            di riuscire nel loro intento.
 Pochi chilometri dopo la dogana, vediamo le prime case distrutte, 
            interi villaggi rasi al suolo e boschi bruciati.
 Metkovic dista circa sessanta chilometri da Mostar, durante tutto 
            il percorso abbiamo incontrato solo battaglioni militari a piedi, 
            carri armati ed altri mezzi bellici dell’IFOR. Giungiamo a Mostar 
            entrando dalla parte Est della città.
 Non parlavamo da chilometri e chilometri, giunti qui però dovevamo 
            farlo, perchè bisognava trovare la strada per giungere all’Omladinski 
            Centar, dove ci aspettavano i ragazzi del festival. Eravamo come “insaccati”, 
            non riuscivamo ad essere come si è di solito, cioè scendere 
            dall’auto e chiedere informazioni, il contesto ci aveva assorbito. 
            Percorriamo la strada principale della città, le case che la 
            costeggiano sono completamente distrutte, non rase al suolo, distrutte 
            con accanimento da cecchino che deve sparare lì fino ad erodere 
            ogni centimetro. I palazzi mantengono il loro scheletro architettonico, 
            si intuisce che la città era bellissima. Adesso vogliamo capire 
            tutto e subito, nello stesso tempo siamo così turbati da rimanere 
            immobili. Si accavallavano, per la prima volta e in modo molto lucido, 
            domande alle quali non c’era il tempo di rispondere o forse 
            alle quali era meglio non rispondere. Il primo pensiero è stato 
            - perché siamo qui?-
 Dopo aver chiesto informazioni a qualche persona, riusciamo ad arrivare 
            all’Omladinski Centar. In quel momento ci sembrò strano 
            che questo centro avesse sede in uno stabile appena ricostruito, bianchissimo, 
            con uffici, telefoni, fotocopiatrici e compiuters e sale nelle quali 
            si tengono corsi di danza, di recitazione, di inglese, di informatica. 
            Scarichiamo la scenografia con l’aiuto di alcuni ragazzi bosniaci 
            e veniamo accompagnati nella casa dove dormiremo. L’accoglienza 
            è gentile e soprattutto molto organizzata. Le strade, su cui 
            si affacciano bar con musica ad alto volume, sono piene di persone. 
            A cena cerchiamo di capire quali sono le motivazioni del festival, 
            vogliamo sapere quali sono i gruppi che vi partecipano e molte altre 
            cose, quando distinguiamo nettamente un’esplosione, ci guardiamo 
            intorno, vediamo solo un attimo di esitazione poi tutto riprende come 
            prima. Noi invece abbiamo paura e non riusciamo né a nasconderla, 
            né a continuare a mangiare. I nostri ospiti cercano di tranquillizzarci, 
            ci invitano a continuare a mangiare, altrimenti saranno costretti 
            a chiedere, per noi, agli abitanti di Mostar Ovest di buttare granate 
            solo dopo cena.
 Durante tutti i giorni della nostra permanenza sentiremo esplodere 
            altre granate, una nel pomeriggio a pochi metri dall’Omladinski,sul 
            bulevar, confine che divide la città in due parti.
 
 A Mostar esiste una netta separazione fisica tra le persone di cultura 
            croata, che vivono a Ovest, e quelle di cultura mussulmana, che vivono 
            a Est.
 Siamo andati solo una volta a Ovest, era l’ora di cena, la polizia 
            ci ha fermato e controllato i documenti. Le strade erano deserte e 
            buie, la gente vive in casa con le serrande abbassate. Le case e i 
            palazzi non sono stati molto danneggiati rispetto alla parte Est della 
            città.
 La tensione tra Est e Ovest, le esplosioni, la militarizzazione, le 
            stesse case distrutte man mano ci diventano abituali.
 Nei giorni successivi al nostro arrivo il pensiero della guerra sarà, 
            anche se sempre presente, in secondo piano. Ci infastidisce dover 
            ammettere che, dopo lo shock iniziale, ci siamo abituati a Mostar. 
            Siamo coinvolti nel vero clima della città. Il contesto di 
            Mostar è più forte della sua immagine.
 I volti delle persone che si incontrano sulle strade comunicano energia, 
            Mostar è una città in cui si intrecciano relazioni umane 
            per strada. Questa stessa energia l’abbiamo trovata all’Omladinski 
            Centar. Questo centro è gestito da ragazzi (il più vecchio 
            fra loro ha 28 anni) che si sono assunti, in collaborazione con alcuni 
            gruppi teatrali, la responsabilità di organizzare e gestire 
            completamente il festival. Questa edizione del festival risponde quindi 
            a una forte esigenza di riportare a Mostar il teatro. (Prima della 
            guerra l’attività culturale, e in particolare quella 
            dei Teatri di Mostar, era molto intensa.)
 In pochi giorni, durante il festival, sono nati progetti per il futuro 
            teatro di Mostar, scambi tra le compagnie ospiti, lavori di gruppo 
            tra attori austriaci, polacchi, spagnoli e mostarini. Tutti gli spettacoli 
            del festival sono stati visti da moltissimi spettatori, gli stessi 
            che si fermavano poi al centro per partecipare agli incontri che seguivano 
            gli spettacoli. Durante questi incontri i componenti delle compagnie, 
            che avevano rappresentato il loro lavoro, venivano interrogati sui 
            motivi del loro fare in modo esplicito, senza frasi di circostanza, 
            a volte criticando in modo diretto le scelte delle compagnie. Tra 
            le compagnie ospiti e il pubblico il confronto è stato interessante 
            e chiaro.C’è stata una grande collaborazione anche durante 
            le fasi di montaggio e smontaggio delle scenografie.
 La stessa forza e radicalità che si vede nei mostarini l’abbiamo 
            ritrovata negli spettacoli bosniaci, la potenza dei corpi e dei volti 
            degli attori era molto incisiva e presente sulla scena.
 
 Il festival è iniziato la sera del 30.08.1996 con lo spettacolo 
            bosniaco “Pax Bosniensis” della compagnia Mostarki Teatar 
            Mladih, in scena venti attori e attrici che visualizzavano, attraverso 
            movimenti corporei, dinamiche inerenti alla guerra. Nell’incontro 
            successivo allo spettacolo, la drammaturga Ljubica Ostojic, ha affermato 
            che questo spettacolo ha per gli attori una importante valenza terapeutica 
            in quanto, probabilmente, la maggior parte di essi ha assistito a 
            uccisioni o ha ucciso a sua volta. Il secondo lavoro bosniaco ”Jedno 
            Putovanje Kroz Teatar” è stato allestito in una grande 
            grotta al centro di Mostar: il regista Hamica Nametak, ha lavorato 
            con attori di 17-18 anni. Gli attori si muovono sulla scena con gesti 
            non evidenti ma precisi, trasmettono al pubblico una forza che non 
            è di impatto, ma è avvolgente non scadendo, mai nella 
            recita. All’Ex-Hotel Ruza si è svolto uno spettacolo 
            di Teatrasca Radionica dal titolo “Podrum” con attori 
            giovani della parte Est e Ovest della città. La compagnia spagnola 
            “Les Balcaniques” ha messo in scena il poema epico dell’autore 
            Albert Herranz . Non siamo riusciti a vedere gli altri spettacoli 
            perchè eravamo impegnati nell’allestimento del nostro.
 
 La caratteristica di questo festival è stata la compressione 
            dei tempi: gli spettacoli si susseguivano e gli incontri delle compagnie 
            con il pubblico erano molto a ridosso delle rappresentazioni e duravano 
            a lungo. C’era la necessità di trovare momenti comuni 
            tra le compagnie per discutere, senza conformismi, del proprio lavoro 
            e per confrontarsi sui progetti futuri.
 Hamica Nametak ci ha invitato a realizzare, insieme agli attori della 
            sua compagnia, un laboratorio teatrale, nel quale stabilire una relazione 
            prolungata e articolata nel tempo tra noi e i ragazzi, creando un 
            contesto di relazioni umane orientato all’attività teatrale. 
            Il nostro ritorno a Mostar è previsto verso la fine di novembre. 
            Svolgeremo, per un periodo di circa quindici giorni, la prima parte 
            del laboratorio teatrale. In seguito ci recheremo a Sarajevo e a Tuzla: 
            cercheremo le realtà teatrali di queste città.
 Per noi ora è importante tornare. La natura del nostro desiderio 
            di ritornare può essersi determinata dal confronto con la desolante 
            situazione del teatro “di ricerca” italiano, stagnante, 
            arroccato nei suoi circuiti e sottocircuiti, predeterminati chissà 
            quando e da chi, oppure, dall’egoistica necessità di 
            sfruttare l’energia che trasmette questa città, nella 
            quale la cultura ha un ruolo di rilievo. (Basti pensare che stanno 
            già ricostruendo scuole, teatri, conservatori e musei.)
 Nell’ultima sera del festival, una giuria composta da intellettuali 
            di Sarajevo ci ha assegnato il premio “Mravac” “per 
            il coraggio, per la ricerca non compromessa, per l’alta concentrazione 
            e per la fede nel teatro”. Queste parole descrivono con precisione 
            coloro che hanno voluto fortemente questo festival: segnale importante 
            dell’attività culturale di Mostar, ma soprattutto centro 
            intorno al quale si concretizzano progetti artistici veri.
 
 Bologna, 23.09.1996
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 Articolo pubblicato in:
 
 Zero in condotta, n. 2, del 25 ottobre-7 
              novembre 1996
 A, Rivista Anarchica, n. 9 del dicembre 
              1996 - gennaio 1997
 Linea d’Ombra, n.122, febbraio 
              1997
 Le vie dei Canti, anno IV, a cura di 
              Ravenna Teatro, Ravenna 1997
 
 
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